Pace: «Governo scorretto, parlamento appiattito. Ma al premier può andar male»

Su il Manifesto del 9 Aprile 2016; Referendum costituzionale. Il presidente del comitato per il No: criticabile anche l’invito all’astensione sulle trivelle

A Roma il taglio del nastro è alle 10 in piazza di Torre Argentina. Oggi comincia la raccolta di firme per tutti i referendum – quelli istituzionali, quelli sociali, quelli sulla scuola e quelli sul lavoro – che nella primavera del 2017 tenteranno di segare l’architrave delle politiche del governo Renzi. Prima bisognerà raccogliere ai banchetti 500mila firme per ciascun quesito (una dozzina) e passare al vaglio di Cassazione e Corte Costituzionale in autunno-inverno. In autunno ci sarà anche il referendum costituzionale sulla revisione di oltre un terzo della Carta, la legge Renzi-Boschi che la prossima settimana alla camera chiuderà il suo iter parlamentare. Ma già domenica 17 aprile c’è la prima prova, il referendum sulle trivellazioni in mare. Il costituzionalista Alessandro Pace è il presidente del comitato per il no al referendum costituzionale.

Professore, il presidente del Consiglio si augura che il referendum di domenica prossima fallisca e fa campagna perché non sia raggiunto il quorum. Come lo giudica?

Mi pare una cosa molto scorretta. Almeno quanto la decisione della maggioranza che sostiene il governo di presentare lei stessa la richiesta di referendum costituzionale. Quando è noto che si tratta di un referendum oppositivo. Chi ha fatto la legge non deve promuovere niente, basta che stia fermo. L’invito all’astensione sulle trivelle è altrettanto criticabile. Sono due modi simili di giocare con le istituzioni.

Il presidente del Consiglio ha messo sul piatto del referendum di ottobre il suo stesso destino politico.

Siamo ai limiti della democrazia. Ma lo siamo dall’inizio di questo percorso. Le leggi costituzionali non dovrebbero essere materia del governo. Fino al 2005, erano state tutte promosse con progetti di legge parlamentari. Quando si tratta di scrivere la Costituzione, diceva Calamandrei, il governo non dovrebbe nemmeno sedersi sui suoi banchi in parlamento. Non ha fatto così Berlusconi con la devolution e gli è andata male. Non ha fatto così Letta e gli è andata male. Erano tutti progetti di revisione costituzionale passati prima per il Consiglio dei ministri, come questo di Renzi. Speriamo vada male anche a lui.

Se va male, sta dicendo il presidente del Consiglio, si scioglie il parlamento. È giusto?

Naturalmente non sta a lui deciderlo, ma mi viene da dire: perché non l’avete sciolto prima? Visto che la Corte costituzionale nella sentenza che ha abbattuto il Porcellum ha sì richiamato il principio della continuità degli organi costituzionali, ma non a tempo indeterminato. Questo parlamento eletto con una legge illegittima non avrebbe potuto superare i tre mesi. Sono passati due anni. E stanno riscrivendo la Costituzione.

L’hanno praticamente fatto, siamo all’ultimo passaggio.

Ma a che prezzo? Il presidente del Consiglio e la ministra per le riforme hanno imposto un ritmo non consono per la revisione costituzionale. Abbiamo assistito prima alla sostituzione dei componenti della commissione affari costituzionali che non erano allineati con il governo, poi all’esclusione del relatore di minoranza, poi ancora al cosiddetto supercanguro per eliminare tutte le votazioni a rischio nelle ultime fasi…

Non è strano che i parlamentari di maggioranza, dopo aver accettato tutte queste forzature per portare a casa la riforma, adesso corrano a firmare perché sia sottoposta al referendum?

Strano? È fisiologico, perché hanno appiattito la riforma costituzionale sull’indirizzo politico del governo e conseguentemente il governo utilizza il referendum a fini plebiscitari.

A questo punto perché il comitato raccoglierà le firme dei cittadini? In pratica non ce ne sarà più bisogno.

Raccogliendo le firme cerchiamo di dimostrare, innanzitutto al governo, che il popolo italiano tiene alla sua Costituzione. Può essere un primo antidoto al plebiscito e all’avventurismo.

Renzi farà la campagna elettorale per il Sì. E voi? Risponderete direttamente a lui o cercherete di motivare il no nel merito?

Terremo distaccate le cose, non mischieremo le critiche a Renzi con il merito della riforma. Di argomenti da spiegare e da criticare ce ne sono tanti. Forse per vincere sarebbe più facile rispondere a Renzi sul suo terreno, ma sarebbe come scendere sul suo stesso piano, anche noi prenderemmo in giro la Costituzione. Invece la stiamo difendendo.

È ancora in piedi l’ipotesi di presentare più quesiti per il No, per provare a evitare il voto in blocco sui 41 articoli della riforma?

Sarebbe la soluzione ideale, ma non credo che si percorrerà questa strada. Forse potrebbero farlo i senatori o i deputati di opposizione che hanno la possibilità di chiedere il referendum molto più facilmente. A mio avviso si potrebbero depositare tre quesiti diversi. Il primo sulla forma di governo, la riduzione dei parlamentari, la fine del bicameralismo perfetto e le modifiche al procedimento legislativo, una quindicina di articoli in tutto. Il secondo sull’abolizione del Cnel. E il terzo quesito sul rapporto stato regioni, il Titolo quinto. Per me sarebbe l’ideale, perché ovviamente ci sono delle persone orientate a dire no al mutamento della forma di governo, ma sì agli altri due quesiti. Del resto la criticabile riforma Letta aveva almeno recepito le indicazioni della dottrina e previsto più leggi costituzionali omogenee.

Senza quella modifica costituzionale, però, resta la legge istitutiva del referendum del 1970 che parla di più referendum solo nel caso dei referendum abrogativi.

È giusto, però bisogna tener presente che allora le leggi costituzionali erano omogenee. E limitate. Nessuno pensava che potesse venir fuori una riforma del genere. Se si riuscisse a far passare lo “spacchettamento” si metterebbe il povero elettore nelle condizioni di dire sì o no su una materia omogenea, recuperando lo spirito originario.

Non le ho chiesto niente della legge elettorale, contro la quale pure parte la raccolta di firme per due referendum abrogativi.

Eppure l’Italicum è tutto. Come ha scritto recentemente Lorenza Carlassare, il perno della riforma costituzionale sta nella nuova legge elettorale. Bisogna provare a cancellarle entrambe.

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