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Appello del Comitato per il No nel Referendum costituzionale sulla riforma Renzi-Boschi

novembre 16, 2015 · di CDC · in DOCUMENTI. ·

Appello ai presidenti della Camera e del Senato e ai deputati e ai senatori della Repubblica per la sospensione della discussione sulla riforma costituzionale Renzi-Boschi

In un tornante della storia, quale si va profilando in conseguenza della mattanza occorsa il 13 novembre a Parigi per opera di seguaci del Daesh, il Direttivo del Comitato per il No al referendum costituzionale sulla riforma Renzi-Boschi, chiede al Presidente della Camera dei deputati e ai Presidenti dei gruppi parlamentari di rinviare a data da destinarsi la discussione, già fissata per il prossimo 20 novembre, davanti alla Camera dei deputati, per l’approvazione, in prima deliberazione, del d.d.l. cost. n. 2613-B.

Il Comitato ritiene infatti inopportuno che in un momento così grave che richiede l’unità di tutte le forze politiche e sociali – come ai tempi del terrorismo, se non peggio -, le Camere possano procedere tranquillamente nel loro lavoro di revisione della gran parte degli articoli della Costituzione come se nulla fosse accaduto. Mentre è proprio nei momenti di crisi, che la Costituzione, nei suoi principi e valori, dovrebbe costituire il simbolo, per eccellenza, dell’unità del popolo italiano.

Né si obietti che, con la progettata modifica della Camera e del Senato, lo Stato italiano acquisirebbe maggior forza per contrapporsi al terrorismo jihadista. Proprio l’esperienza degli anni di piombo ha infatti insegnato che le battaglie contro l’eversione non si combattono limitando i poteri del Parlamento, che erano gli stessi di quelli tuttora previsti dalla Costituzione del 1947, e che potrebbero semmai essere rimodulati agevolmente con appropriate modifiche regolamentari.

La gravità dell’attuale situazione che potrebbe addirittura sfociare, come da più parti si sostiene, in uno stato di guerra o in una situazione analoga, induce il Comitato per il No a sottolineare che se la riforma Renzi-Boschi venisse approvata nel testo di cui al d.d.l. cost. n. 2613-B, non sarebbero più le Camere a deliberare lo stato di guerra, come previsto dal vigente articolo 79 della Costituzione, ma la sola Camera dei deputati. E ciò, come se il Senato, ancorché rappresentativo delle autonomie locali, quale previsto dalla riforma Renzi-Boschi, non fosse anch’esso un organo dello Stato-comunità e quindi della Repubblica italiana.

Roma, 16 novembre 2015

Prof. Alessandro Pace – Presidente del Comitato per il No[1]

[1] Consiglio direttivo del Comitato per il No nel referendum costituzionale: Gustavo Zagrebelsky (Presidente onorario), Alessandro Pace (Presidente), Pietro Adami, Alberto Asor Rosa, Gaetano Azzariti, Francesco Baicchi, Vittorio Bardi, Mauro Beschi, Felice Besostri, Francesco Bilancia, Sandra Bonsanti, Lorenza Carlassare, Sergio Caserta, Claudio De Fiores, Riccardo De Vito, Carlo Di Marco, Giulio Ercolessi, Anna Falcone, Antonello Falomi, Gianni Ferrara, Tommaso Fulfaro, Domenico Gallo, Alfonso Gianni, Alfiero Grandi, Raniero La Valle, Paolo Maddalena, Giovanni Palombarini, Vincenzo Palumbo, Francesco Pardi, Livio Pepino, Antonio Pileggi, Marta Pirozzi, Ugo Giuseppe Rescigno, Stefano Rodotà, Franco Russo, Giovanni Russo Spena, Cesare Salvi, Mauro Sentimenti, Enrico Solito, Armando Spataro, Massimo Villone, Vincenzo Vita, Mauro Volpi.

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4 risposte a “Appello del Comitato per il No nel Referendum costituzionale sulla riforma Renzi-Boschi”

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L’approvazione il 4 maggio scorso della legge elettorale “Italicum” rappresenta un gravissimo attacco all’assetto democratico della Repubblica. Come già il “Porcellum”, la nuova legge “Italicum” attraverso il meccanismo del ballottaggio (che scatta se nessuna lista supera al primo turno il 40% dei voti), trasforma una minoranza in una maggioranza, che potrebbe essere smisurata, se teniamo anche conto dell’astensionismo in crescita esponenziale, rispetto ai voti effettivamente ottenuti al primo turno. Per di più questo enorme premio di maggioranza viene attribuito a un solo partito invece che a una coalizione. Così il principio costituzionale dell’eguaglianza del voto è demolito. Il voto che va al partito che prevarrà sia pure di poco conterà molto di più di quello attribuito a tutti gli altri: il partito che prevarrà al ballottaggio avrà automaticamente 340 seggi, tutti gli altri partiti dovranno dividersi i restanti 290 seggi. Grazie a questi numeri la falsa maggioranza (in realtà una minoranza) potrà arrivare a scegliersi un futuro Presidente della Repubblica di suo gradimento, influire pesantemente sulla composizione della Corte Costituzionale e il Consiglio superiore della Magistratura. Così gli organi di garanzia saranno in mano al capo del governo. Con questa legge avremo una Camera i cui due terzi saranno nominati dalle segreterie di partito invece che scelti dai cittadini. Gli eletti, che dovranno l’elezione al capo del loro partito, gli obbediranno ciecamente quando sarà capo del governo e si realizzerà così ciò che Leopoldo Elia aveva chiamato “premierato assoluto”, riducendo drasticamente il potere legislativo del Parlamento, attribuiti poteri senza limiti e senza controllo al Governo e in particolare al presidente del consiglio. Si cambia la forma di governo fino a distorcere la forma dello Stato. La maggioranza parlamentare potrà ignorare il confronto con le parti sociali e in particolare con il sindacato come è già accaduto in questi mesi imponendo i propri provvedimenti al paese. Questa inaudita concentrazione di poteri finisce con il mettere in seria discussione la stessa prima parte della Costituzione perchè meccanismi istituzionali accentrati e autoritari possono essere il veicolo per rimettere in discussione anche i valori e i diritti che dovrebbero presiedere alla vita della nostra Repubblica. La partecipazione alle scelte politiche nazionali sarà resa assai più difficile dalle modifiche costituzionali in corso di approvazione, di cui i punti più preoccupanti sono la sostanziale riduzione del Senato ad una sorta di dopolavoro di lusso per consiglieri regionali, l’accentramento nelle mani del governo di poteri importanti delle regioni e degli Enti locali.

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