Legge elettorale. Dal tribunale di Genova la quinta ordinanza. Sei almeno i motivi di incostituzionalità
Articolo do Andrea Fabozzi su Il Manifesto
Erano due le ordinanze sull’Italicum sulle quali si sarebbe dovuta pronunciare la Consulta il 4 ottobre scorso, se non avesse deciso di fermarsi per non interferire con il referendum sulla Costituzione. La nuova udienza sulla legge elettorale non è ancora stata fissata – sarà probabilmente a gennaio – ma intanto il clima politico attorno all’Italicum è decisamente cambiato, tanto che lo stesso Renzi (che lo aveva imposto con la fiducia) promette modifiche – dopo il referendum, si intende. Ma nel frattempo le richieste alla Corte costituzionale di occuparsi dell’Italicum da due sono diventate quattro. Dopo i tribunali di Messina e Torino c’è stato quello di Perugia a settembre e mercoledì scorso (ma lo si è appreso ieri) anche il tribunale di Genova ha deciso di chiamare in causa la Consulta. Ravvisando nella nuova legge elettorale almeno sei motivi di incostituzionalità.
Due sono quelli già previsti dai giudici di Torino e Perugia. Riguardano la mancata previsione di una soglia minima per accedere al ballottaggio – cosicché il premio di maggioranza rischia di diventare abnorme – e le pluricandidature dei capilista, la cui chance di optare per il collegio una volta eletti finisce per eludere la volontà degli elettori. Ma ci sono anche quattro nuovi motivi, quattro pesanti sospetti di incostituzionalità nell’Italicum a partire da un giudizio radicale sulla «sproporzione» tra il numero di voti ottenuti dalla lista che raggiunge il 40% al primo turno e i seggi che le vengono assegnati grazie al “premio”. Per spiegarsi la giudice Maria Cristina Scarzella ricorre a un esempio numerico, immaginando 30 milioni di voti validi (ipotesi realistica nell’eventualità di una crescita delle astensioni; nel 2013 i voti validi sono stati 34 milioni). In questo caso, scrive, «il 40% corrisponde a 12 milioni di voti. Per effetto del premio di maggioranza la lista (vincitrice) ha così diritto a 340 deputati cioè un deputato ogni 35.294 voti; il complesso delle forze di minoranza che hanno ottenuto 18 milioni di voti ottengono solo 278 deputati, il che vuol dire che per eleggere un deputato occorrono 64.748 voti». In altre parole il voto di chi sceglie una lista di minoranza vale quasi la metà di quello di chi sceglie i vincitori.
Accanto a questo argomento che mette in discussione il cuore dell’Italicum, ci sono tre ipotesi minori, casi di irragionevolezza e contraddittorietà che potrebbero verificarsi in ipotesi limite, ma che un legislatore accorto avrebbe dovuto comunque prevedere. La giudice di Genova accoglie infatti le ragioni degli avvocati del cosiddetto “pool anti Italicum” coordinato da Felice Besostri, e dichiara non manifestamente infondate le questioni di legittimità relative: 1) al caso in cui due liste al primo turno raggiungano entrambe il 40% (la legge non indica una soluzione); 2) al caso in cui una lista conquisti 340 seggi al primo turno restando però sotto la soglia del 40% (al ballottaggio rischierebbe di perdere quanto guadagnato al primo) 3) al caso in cui in Trentino Alto Adige, dove i seggi si assegnano con il proporzionale, risultasse vincitrice una lista non collegata con la prima lista nazionale: il risultato sarebbe un’lteriore penalizzazione delle minoranze.
Anche a Genova come in tutti gli altri tribunali che si sono già espressi (altri dieci non hanno ancora sciolto la riserva) è stata respinta la richiesta di incostituzionalità totale, legata al fatto che la legge elettorale è stata approvata alla camera con la fiducia. Se la Corte costituzionale accogliesse le incostituzionalità parziali legate al premio e al ballottaggio, in linea con quanto deciso nella sentenza del 2014 sul Porcellum, potrebbe favorire una revisione parziale dell’Italicum, magari per introdurre il premio alla coalizione e la cancellazione del ballottaggio.