Sentite questa. È la scoperta epocale di Ezio Mauro direttore di Repubblica. Secondo lui, da come si comporterà un plurindigato ex spicciafaccende del Cavaliere dipenderà il profilo del Pd, addirittura «cosa sarà la nuova sinistra nel nuovo secolo». Né più né meno questo sarebbe il tema al centro della politica italiana, «Verdini permettendo».
È la solita visione della politica politicante (e dichiarante), in questo caso spinta al limite del grottesco, tutta concentrata sulle manovre di palazzo. Lontana mille miglia dai contenuti, dai mille problemi che travagliano la vita quotidiana delle donne e degli uomini in carne e ossa.
In compenso Mauro affibbia a Renzi la patente di leader indiscusso del partito della nazione, che deve decidere se impiantare il Pd nel territorio del centrosinistra o farne un partito pigliatutto. Ma evita di mettere le mani nell’acqua sporca dei provvedimenti sociali e istituzionali del governo, mentre Verdini dà più di una mano e rivendica il ruolo di picconatore (renziano) della Costituzione.
La belletristica del direttore non pulisce però l’acqua sporca. Andiamo allora alla sostanza. La controriforma costituzionale del Senato, accettata dalla minoranza Pd in cambio di un piatto di lenticchie che non ne cambia la natura, e la legge elettorale («ottima» secondo lo statista di Rignano), che trasforma una assoluta minoranza di voti in una maggioranza assoluta di seggi, pongono una questione di fondo. Perlopiù trascurata anche da chi generosamente si batte in difesa della Costituzione.
Come è possibile garantire i diritti costituzionali, in particolare i diritti sociali sanciti nel titolo III dagli articoli 35-47, se i titolari di tali diritti, i lavoratori e le lavoratrici nel nuovo secolo, sono sopraffatti ed esclusi, senza rappresentanza e senza rappresentazione culturale e mediatica? Lasciate perdere Verdini, esperto cacciatore di soldi, di posti e di prebende: questo è il tema centrale della politica e della democrazia. A cui però Renzi, imprigionato nel blairismo, una delle cause scatenanti della crisi, non dà, e non può dare, una risposta.
Se, come ha annotato più obiettivamente Scalfari, «il rischio è di diventare una democrazia che interessa il 30-40 per cento» degli italiani, allora bisogna ammettere che di fatto viene cancellato l’articolo 3 della Costituzione anche se formalmente resta in vita. È infatti evidente che in tali condizioni non si può neanche immaginare «l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese», rimuovendo gli ostacoli di ordine economico e sociale che lo impediscono.
Si discute di “riforma” del Senato e di legge elettorale. Di fatto si sta abbattendo il pilastro fondamentale su cui si regge l’intero impianto costituzionale. Più che un governo delle élites si delinea un’oligarchia capitalistica di nuovo conio, che trae vigore dal fallimento senza rimpianti delle vecchie classi dirigenti. Ma non si può ignorare – una sinistra degna di questo nome non può ignorare – che riconoscendo nel lavoro il fondamento della Repubblica la Costituzione pone un limite alla proprietà, sottoposta al vincolo della «funzione sociale» e della «utilità generale».
Senza di che non avrebbe senso l’affermazione secondo cui «la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo tale diritto» (Art. 4). Nella nostra Costituzione è il lavoro il fondamento che tiene insieme i principi di libertà e di uguaglianza ridisegnandoli in termini moderni, e i diritti che ne derivano. Non il capitale. La conseguenza, come ormai dovrebbe essere di pubblico dominio, è che se stai dalla parte del capitale i diritti di libertà e di uguaglianza si indeboliscono e vengono attaccati. È precisamente questa la fase che stiamo vivendo, come già è capitato in altri momenti della nostra storia.
Dove è finito il diritto «a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro» sufficiente ad assicurare «una esistenza libera e dignitosa», insieme al diritto al riposo settimanale e alle ferie retribuite? (Art.36). E il diritto alla parità di retribuzione per pari lavoro tra uomini e donne? (Art. 37). E quello alla pensione e all’assistenza sociale? (Art. 38). In discussione sono anche la tutela della salute «come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività» (Art. 32), il diritto per «i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi» «di raggiungere i gradi più alti degli studi» (Art. 34), lo sviluppo della cultura e della ricerca, nonché la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico (Art. 9).
Da qui, dalla lotta per l’applicazione dei diritti sociali costituzionalmente garantiti, che delineano una civiltà più avanzata, occorre muovere per la costruzione di una formazione politica con caratteristiche popolari e di massa, che faccia asse sul lavoro nelle sue diverse forme, oggi retrocesso da diritto a pura merce nella piena disponibilità del capitale. Su questo metro si misura la capacità della sinistra di porsi all’altezza dei tempi nella dimensione europea e mondiale, in quanto portatrice di solidarietà e di unità delle persone che per vivere devono lavorare, oggi divise e in lotta tra loro. Tutto il resto è una favola, la narrazione fantastica di una sinistra che non esiste.
D’altra parte, il referendum confermativo della controriforma costituzionale, che vedrà solidamente affratellati Renzi e Verdini nel ruolo di ammazzasette della casta, si potrà vincere sventando un’operazione conservatrice e reazionaria di portata storica solo se si riuscirà a rendere chiaro agli italiani che la vera posta in gioco non è un arzigogolo istituzionale molto lontano dalla nostra vita, ma ben altro. Sono i nostri diritti, la nostra possibilità di avere un ruolo nelle scelte dell’Italia e dell’Europa, la qualità del nostro presente e del nostro futuro, l’avvenire dei nostri figli e nipoti. Il referendum sarà davvero un passaggio decisivo per tutti noi. E sin da ora è necessario cominciare a lavorarci.
Paolo Ciofi